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Comprendere (e migliorare) il clima aziendale: intervista a Laura Magnani, psicologa del lavoro e delle organizzazioni

Comprendere (e migliorare) il clima aziendale: intervista a Laura Magnani, psicologa del lavoro e delle organizzazioni

Laura Magnani, psicologa del lavoro e delle organizzazioni, collabora con PMC Coach come consulente e formatrice. È specializzata in dinamiche relazionali, comunicazione intenzionale, intelligenza emotiva e analisi del clima, ambiti che affronta attraverso un approccio scientifico e strutturato, facendo uso di strumenti validati come quelli sviluppati dalla rete internazionale Six Seconds.

Nel suo lavoro, affianca imprenditori, manager e team di piccole e medie imprese supportando percorsi di cambiamento organizzativo, rafforzamento della fiducia, miglioramento della comunicazione interna e costruzione di ambienti di lavoro più efficaci e sostenibili. In questa intervista, racconta il proprio percorso, l’incontro con PMC Coach, le metodologie adottate e il valore di una lettura consapevole delle relazioni nei contesti professionali.


Intervista a Laura Magnani

Sono entrata a far parte del team PMC in un momento in cui avevo appena avviato la mia attività da libera professionista. Cercavo realtà affini per valori e approccio, con cui condividere esperienze e crescere. Scoprendo PMC online, ho partecipato a un loro workshop durante Farete, occasione in cui ho potuto conoscerli personalmente. Il confronto nato in quell’occasione, e poi approfondito con Licia e Diego, mi ha confermato la possibilità di un dialogo professionale stimolante e aperto, basato su confronto, contaminazione e visione condivisa.

Ci puoi fornire un esempio concreto di come questa apertura al confronto tra colleghi abbia avuto un impatto diretto sul tuo lavoro?
La partecipazione ai gruppi di confronto, come quelli promossi da Six Seconds, mi offre stimoli continui che influenzano in modo significativo la mia attività. Nascono idee su come “matchare” modelli di riferimento, integrare l’intelligenza artificiale, costruire nuovi strumenti di lavoro…
Confronti, scambi, apertura, lavori per clienti progettati insieme creano quel terreno fertile nel quale condividere idee e ambizioni, magari quei progetti che da soli non si ha il coraggio di lanciare.
Un esempio è il progetto che sto sviluppando con Diego, dedicato agli imprenditori. L’idea è che ci sia una forte differenza tra manager e imprenditori soprattutto sul modo in cui si trovano ad affrontare situazioni decisionali. Pensiamo agli imprenditori come persone che dispongono di meno possibilità di confronto e gravati da grandi responsabilità e pensiamo che queste particolarità abbiano bisogni specifici. Abbiamo deciso di verificare questa percezione attraverso una serie di interviste ai nostri clienti, con l’obiettivo di strutturare un eventuale “intervento” (o progetto a più ampio respiro) dedicato, qualora il bisogno emergesse in modo chiaro.

In quali ambiti si concentra in modo specifico la tua attività professionale?
Mi occupo di consulenza organizzativa e psicologica, con un focus sulle relazioni nei contesti di lavoro. Intervengo su dinamiche interpersonali, comunicazione, sicurezza psicologica, gestione dei conflitti e sviluppo delle competenze emotive. Sebbene la mia formazione sia psicologica, utilizzo modelli strutturati come quelli di Six Seconds, pensati anche per professionisti non psicologi.

Come intervieni concretamente sul clima aziendale e sulle relazioni interne?
Il mio intervento parte generalmente da un’analisi del clima organizzativo, che rappresenta la base per una comprensione concreta e misurabile delle dinamiche interne all’impresa. Attraverso strumenti strutturati, raccolgo informazioni dettagliate sul percepito delle persone rispetto a fattori come la motivazione, la propensione al cambiamento, la capacità esecutiva, il livello di fiducia e il lavoro in team. Questi elementi vengono poi elaborati per costruire una fotografia chiara di come stanno le persone nell’ambiente di lavoro.
A partire da questi dati, viene concordata con l’azienda la direzione d’intervento, che molto spesso si orienta sulla consapevolezza e sul rafforzamento dei punti di forza (per comprenderne l’utilità e le potenzialità non ancora completamente espresse) che in molte situazioni determina l’attenuazione delle criticità.
In alcuni casi, ad esempio, è utile stimolare una comunicazione più aperta e trasparente tra colleghi e superiori/responsabili, a partire dall’individuazione di quei talenti specifici grazie ai quali ognuno svolge il proprio compito all’interno dell’azienda, in modo tale da rendere la modalità di lavoro condivisa; in altri è necessario introdurre pratiche che aumentino i vantaggi offerti dal confronto tra approcci e punti di vista diversi (un confronto che genera sempre un arricchimento), dalla capacità di accogliere prospettive differenti e a una gestione generativa dei conflitti.
Le azioni successive sono progettate in modo mirato e possono comprendere percorsi di team coaching, formazione esperienziale, consulenza organizzativa o interventi mirati su gruppi specifici o singoli. Il tutto avviene in stretta collaborazione con l’imprenditore o il management, affinché gli obiettivi siano coerenti con la strategia dell’organizzazione e il cambiamento sia sostenibile nel tempo.

Secondo la tua esperienza, qual è il livello di consapevolezza delle PMI italiane riguardo all’importanza di questi aspetti?
Spesso vengo coinvolta a partire da esigenze formative specifiche, come la gestione dei conflitti o dello stress. Solo in una fase successiva, attraverso l’osservazione e il confronto, emergono elementi che consentono di allargare lo sguardo all’organizzazione nel suo complesso. La consapevolezza iniziale è generalmente concentrata su alcuni elementi superficiali, come se fossero i “sintomi” di una motivazione più profonda. Spesso, quando viene stimolato un ragionamento che va a indagare le ragioni dei sintomi espressi, la consapevolezza cresce in modo significativo e diventa tangibile il collegamento tra benessere relazionale e performance.

Puoi descrivere nel dettaglio il modello Six Seconds e le modalità con cui lo applichi?
Il modello Six Seconds rappresenta il fulcro operativo della mia indagine sul clima aziendale. Si tratta di un sistema di strumenti e framework sviluppati per valutare e migliorare l’intelligenza emotiva applicata al contesto organizzativo.
Nello specifico, utilizzo il VitalSigns, un set di “assessment” psicometrici che consente di analizzare il percepito delle dinamiche relazionali all’interno di un’intera organizzazione, di un team o del singolo leader (con possibilità di confronto con il punto di vista di altri interlocutori che interagiscono con lui a 360°). Lo strumento permette di collegare le percezioni e gli atteggiamenti delle persone con i risultati aziendali concreti, così da misurare il lato umano delle performance e quindi darci gli strumenti per supportare chi deve guidare team e organizzazioni.
Il modello è strutturato su due assi principali:

  1. Temporale, che indaga l’equilibrio tra attività operative di breve termine e visione strategica di lungo periodo.

  2. Organizzativo, che valuta se l’impulso organizzativo è più rivolto alla personalità del singolo individuo o a processi strutturati e codificati.

Dall’intersezione di questi assi emergono cinque driver fondamentali:

  • Lavoro in team: capacità di collaborare, comunicare e costruire relazioni efficaci;

  • Esecuzione: orientamento all’azione, responsabilità e focus, capacità di trasformare le intenzioni in risultati;

  • Propensione al cambiamento: flessibilità, apertura e adattabilità ai contesti e richieste mutevoli;

  • Motivazione: livello di coinvolgimento, senso di scopo, allineamento con i valori dell’organizzazione;

  • Fiducia: elemento centrale che attraversa e sostiene tutti gli altri fattori. Un team o un clima di lavoro altamente performante si basa sulla fiducia. Le persone hanno un senso di sicurezza e di rassicurazione, così da poter rischiare, condividere, innovare e andare oltre la propria zona di comfort.

Ogni driver è scomposto in pulse points, sotto-indicatori che consentono un’analisi dettagliata e articolata. La misurazione non si limita a fotografare il presente, ma fornisce anche indicazioni predittive sulla sostenibilità nel tempo, la capacità di risposta al cambiamento e la soddisfazione complessiva dei collaboratori.
Le valutazioni vengono somministrate in forma anonima e sono scientificamente validate e statisticamente normate.

Una volta analizzato il percepito, su quali aspetti intervieni concretamente?
L’analisi del percepito rappresenta il punto di partenza per un intervento che agisce su leve psicologiche e organizzative. Se, ad esempio, viene rilevato un basso livello di fiducia, si lavora su cosa determina questo risultato e spesso le aree di intervento si incentrano sulla costruzione di ambienti relazionali più sicuri, sulla chiarezza dei ruoli, sulla gestione dei feedback e sull’allineamento tra comportamento dichiarato e agito. Ogni driver del modello può diventare oggetto di azioni concrete, sempre calibrate sugli obiettivi dell’impresa.

Come applichi questi modelli nei contesti più piccoli o con liberi professionisti?
Il mio scopo professionale è quello di permettere alle persone di agire in modo intenzionale e consapevole, scegliendo tra più alternative (se possibile) il comportamento che meglio si addice alla situazione e non trovarsi a re-agire agli eventi.
Per questo lavoro singolarmente o in team allo scopo di favorire i comportamenti che meglio vanno in quella direzione, a individuare, riconoscere e cercare alternative agli ostacoli da superare e a creare quel capitale sociale che permetta di mettere a sistema il valore dei singoli aumentandone il risultato.
In questa logica, che si tratti di imprenditori, manager, collaboratori o contesti di piccole dimensioni, l’intenzione non cambia: fornire strumenti per scegliere e ampliare le opzioni possibili per costruire contesti e dinamiche relazionali in cui:

  • Le persone sentano di potersi assumere il rischio del proprio punto di vista, anche quando questo fosse in controtendenza;

  • Sia chiaro, condiviso e sentito lo scopo, la direzione e il “purpose” che muove il team;

  • Sia necessaria l’interazione tra le persone per raggiungere gli obiettivi condivisi.